domenica 4 gennaio 2015

Dragon Age Inquisition - Recensione (Multi)



5.0
Enorme
Il combat sistem diverte abbastanza
Longevo...

...Ma molto ripetitivo
Trama non pervenuta
Personaggi bidimensionali
I potenziamenti alla fortezza sono fuffa
I dialoghi... i dialoghi!!!

La saga di Dragon Age, ha fatto la sua comparsa quasi in sordina nel 2009, con il capitolo Origins, un GDR occidentale vecchio stampo con un mondo di gioco ben ricreato, una trama interessante e un sistema di combattimento tattico e profondo.
Il secondo capitolo, sul quale si riponevano molte speranze, nel tentativo di essere più user friendly, ha finito di scontentare tutti, contenutisticamente povero, con pochissime location e missioni ripetitive fino alla nausea.
Inquisition sarebbe dovuto essere il gioco della rinascita di Bioware, e per molti siti è stato così, inneggiandolo addirittura a GOTY. Diciamo subito che tutte le belle cose che avete visto e letto su DA:I sono delle grandissime fandonie; andiamo a sviscerare insieme questa specie di MMORPG travestito da GDR occidentale.




L’ETA’ DEI DRAGHI
La trama di gioco inizia poco dopo la conclusione del primo capitolo e del secondo capitolo, che, per chi non lo sapesse, si svolgono nel medesimo periodo; il nostro protagonista si ritrova al Concilio dei maghi, supervisionato dalla Divina, come prevedibile le cose non andranno per il verso giusto, si apriranno gli squarci dell’oblio e il nostro eroe è l’unico in grado di chiuderli: questi sono dei portali di congiunzione verso il velo da cui fuoriescono demoni e altre amenità e che minacciano di distruggere il mondo.
Noi dovremo rifondare l’Inquisizione, l’unico ordine capace di riportare alla normalità il mondo, provvedendo poi a sviluppare la base e le relazioni diplomatiche attraverso delle miniquest basilari; espandere la fortezza si rivela inutile, essa non ha ripercussioni né sui macroeventi né su quelli minori, e i (pochi) cambiamenti sono tutti a livello estetico.
La trama si dipana in maniera abbastanza lineare, troppo lineare. Le scelte che in teoria dovrebbero sconvolgere il mondo di gioco sono tutte farlocche tranne un paio e non aiutano a risollevare il coinvolgimento in una trama che sembra scritta col manuale su come scrivere un fantasy di Nonciclopedia. Anche le relazioni con i vari membri del party appaiono piuttosto fredde, un passo indietro rispetto a quanto fatto da Bioware sia nel primo capitolo che nella saga Mass Effect; assurdo poi ridurre a 2 o 3 personaggi tra i membri disponibili le love story, non ci siamo proprio.
L’editor del personaggio permette di scegliere tra quattro razze differenti: Umano, Elfo, Nano e Quanari, ognuna con i bonus e i malus tipici del genere, una volta scelta la razza si provvederà poi a scegliere la classe: Guerriero, Mago, Ladro; niente di nuovo nel panorama dei GDR fantasy insomma.
Le classi sono quantomeno diversificate seppur, come vedremo più avanti, le abilità sono davvero limitate. Vi ritroverete ad usare sempre le stesse per tutto il gioco, in questo senso arrivano le specializzazioni a mitigare il senso di ripetitività, ma anch'esse (tre per classe possibili) aggiungono giusto un'abilità passiva utile e una attiva.
Gli skill tree sono i più semplicistici della storia dei GDR: le abilità attive sono state ridotte rispetto all’Origins, non vi sono incantesimi di cura, alcune abilità passive risultano pressoché inutili; sarebbe stato molto più gradito un albero delle abilità ramificato, in grado di cambiare effettivamente ogni giocata, magari con meno categorie ma molte più abilità e incantesimi peculiari per ogni classe. Invece no, beccatevi 3 abilità attive utili e ritenetevi fortunati.


TEMPLARI E MAGHI
I mondo in cui ci muoveremo sarà dilaniato dalla guerra fra templari e maghi (il nostro inquisitore dovrà scegliere una di queste fazioni in maniera irrevocabile), le aree di gioco sono enormi ma praticamente vuote, le quest secondarie sono l'apoteosi della ripetitività, si riducono a leggere un messaggio di testo, andare nell'area indicata, uccidere i nemici e consegnare o prendere un oggetto. Il 90% di queste missioni è IDENTICO e i pochi NPC che incontrerete avranno lo spessore di una lampadina elettrica. Perlomeno completando alcune di queste si otterranno significativi bonus potendo arruolare gli npc come agenti dell’inquisizione.
Ogni area è molto ben diversificata e il senso di dejà-vu è assente, risolvendo almeno in parte uno dei principali problemi del precedente capitolo, data la loro immensità si potranno esplorare anche a cavallo.
Veniamo al punto centrale del gioco: il gameplay.
Il sistema di combattimento è una via di mezzo fra quello lento e ragionato del primo capitolo e quello più action del secondo; il risultato è un combat system né carne né pesce, anche a difficoltà incubo la visuale tattica si rivela inutile, basta avere un tank, un ladro e due maghi e potrete far fuori qualsiasi nemico.
Come già accennato in precedenza però, i maghi non possiedono incantesimi di guarigione, per curare i personaggi si dispone di una scorta limitata di pozioni, che si riempiranno ogni volta che torneremo in un accampamento dell’inquisizione; questo sistema semplifica eccessivamente alcuni scontri e ne rende altri frustranti: se, ad esempio, per sbaglio si manca una cassa di rifornimenti in un dungeon (sono quasi sempre sul percorso principale, ma alcune capita di mancarle) si avrà parecchia difficoltà a proseguire; francamente questa scelta ci pare priva di senso, visto che il sistema di cura precedente andava più che bene.
Un altro sintomo della volontà del titolo di essere più user friendly si può rivedere nel menù delle tattiche assegnabili all’IA, se nel primo si potevano decidere decine di variabili differenti come ad esempio attivare un’abilità quando si raggiunge una certa soglia di salute, in inquisition si può ordinare quante pozioni far usare ai nostri compagni e quando devono farlo; oppure si può scegliere quali abilità l’IA userà più di frequente, senza però poter scegliere una vera e propria strategia; l’unica è comandare singolarmente ogni personaggio attraverso l’ottima visuale tattica, che permette una visione d’insieme del campo di battaglia. Il passo indietro è innegabile e francamente è frustrante dover constatare che un gioco del 2009 sia più sfaccettato di uno del 2014.





LA LUCE DELL’OBLIO
La grafica è davvero ottima, specie considerando le gigantesche aree di gioco, i caricamenti sono piuttosto brevi e le animazioni fluide, con qualche asset ricilato dai precedenti capitoli. Il motore grafico è il frostbite 2.0 di Dice che restituisce un buon livello di dettaglio, con texture in alta risoluzione e un’illuminazione convincente. Data poi la vastità delle mappe e la densità poligonale, stupisce che durante la nostra prova non ci sia mai stato un calo di frame-rate, nemmeno quando a schermo si mescolavano molte abilità spettacolari contro numerosi nemici. La distruttibilità ambientale, fiore all’occhiello del motore è sfruttata limitatamente solamente negli scontri contro i draghi.
Ottima la direzione artistica che regala ottimi scorci e il level design delle aree, più banale invece, il design dei dungeon, lineari e senza spunti particolari.
Da segnalare la marcata presenza di bug e compenetrazioni poligonali, ma non ci sono problemi che precludono l’avanzamento nel gioco.
Il sonoro alterna musiche epiche ad altre più anonime ma si mantiene su livelli buoni; il doppiaggio, interamente in inglese, è ben fatto.
Ottimi anche gli effetti ambientali con i ruggiti dei draghi che mettono la pelle d’oca.
La longevità è croce e delizia del titolo: le missioni principali sono una manciata e giocando solo quelle si può arrivare ai titoli di coda in sole 8 ore, per aumentare la longevità potrete esplorare gli ambienti e fare la miriade di subquest tutte identiche l'una con l'altra, davvero un grande incentivo alla rigiocabilità; noi ci abbiamo impiegato circa ottanta ore per completare il titolo al cento per cento giocando ad incubo. 




COMMENTO FINALE:
Drago Age Inquisition continua la parabola discendente di Bioware, il gioco è davvero enorme, ma è un contenitore vuoto; ci dispiace, ma non basta riempire le mappe di nemici e missioni tutte identiche fra loro per fare un buon GDR. Solitamente Bioware si distingue per la narrativa, ma purtroppo anche in questo aspetto il titolo è carente: cliché del fantasy più becero e dialoghi e situazioni che sembrano usciti dalla penna di certi "autori" fantasy del belpaese. Sinceramente ci piacerebbe davvero stringere la mano al genio che ha inventato "il gioco" della corte d'Orlais, è tipo la cosa più idiota che sia mai apparsa in un VG, con personaggi che fanno cose a caso perché sì. L’interattività con i compagni non è ai livelli dei precedenti lavori Bioware: le relazioni amorose risultano fin troppo artificiose e poco approfondite, mentre gli effetti delle proprie decisioni sulla trama sono fin troppo semplici, le uniche scelte che cambiano effettivamente qualcosa sono quella di allearsi con i templari o con i maghi, e un’altra in un punto avanzato del gioco che non sveleremo.
Il combat system stesso risente della necessità di adattare il gioco alla più ampia schiera di giocatori possibili: per quanto sia ben fatto e tattico al punto giusto, le limitate possibilità tattiche da assegnare all’IA dei compagni unita alla mancanza di incantesimi di guarigione appiattiscono gli scontri che sarebbero potuti essere decisamente migliori e diversificati.
DA:I è il perfetto esempio di cosa i GDR occidentali siano diventati pur di vendere il più possibile: la trama è stata edulcorata da tutto ciò che avrebbe potuto turbare le giovani menti dei videogiocatori odierni e presenta dei colpi di scena che probabilmente sfigurerebbero anche in "Un posto al sole", il combat system è stato semplificato ulteriormente e il livello di difficoltà abbassato. Il gioco presenta almeno delle belle ambientazioni che da sole risollevano leggermente la valutazione.
Se volete giocare un GDR fantasy fatto come si deve rispolverate la 360 o la PS3 e mettete su Origins, non ve ne pentirete.


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